Società pubbliche, liquidazione giudiziale e segregazione dell’attivo concorsuale: alcune riflessioni

di Cristiano Eberle

Come noto l’art. 14 del D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo Unico Società Pubbliche), al suo primo comma, sancisce che le società pubbliche insolventi, nessuna esclusa (nemmeno le società in house), accedono, al pari di qualsiasi altra impresa, alle ordinarie procedure concorsuali previste dal nuovo CCII; inutile negare, nel contempo, che la liquidazione giudiziale di una società pubblica presenta molteplici peculiarità e anche alcune criticità; rispetto a queste ultime, una delle più rilevanti consta nell’evidente necessaria continuità riferibile all’erogazione di un servizio pubblico essenziale; detta continuità, empiricamente, stride però rispetto agli ordinari fini liquidatori concorsuali ed è, per l’appunto, concretamente perseguibile esclusivamente attingendo a taluni strumenti peculiari del vigente diritto concorsuale; di ciò disquisiremo nel prossimo contributo; un’ulteriore criticità è oltremodo riferibile alla liquidazione dell’attivo concorsuale e di ciò vorremmo qui dibattere.

Il perimetro di riferimento del presente contributo è rappresentato dai servizi pubblici locali, tra i quali sono ricompresi anche, ma non solo, i cosiddetti servizi a rete, per i quali non è ipotizzabile, a costi socialmente sostenibili, la duplicazione delle infrastrutture, fisse e mobili, dedicate all’erogazione degli stessi; ci riferiamo, allo stato e a solo titolo esemplificativo, alla distribuzione del gas naturale e al servizio idrico integrato ma potremmo disquisire anche del ciclo integrato del rifiuto oppure del trasporto pubblico su scala locale.

Con il recentissimo D.Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, l’ordinamento settoriale si è arricchito di un ulteriore provvedimento titolato Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; l’articolo 21 del medesimo statuisce, in estrema sintesi, che le dotazioni patrimoniali, funzionali e strumentali, all’erogazione di un servizio pubblico essenziale sono destinate alla gestione del servizio pubblico medesimo e devono pertanto essere messe, ex-lege, nelle disponibilità del soggetto gestore e ciò indipendentemente dal profilo del soggetto titolare della proprietà delle medesime; ciò implica altresì che, qualora a seguito di procedura competitiva ad evidenza pubblica, oppure di affidamento diretto, il gestore di detti servizi dovesse essere sostituito, le dotazioni patrimoniali destinate alla produzione del servizio stesso (i.e. condotte gas, impianti idrici di depurazione, autobus ed altri beni strumentali), anche se dal medesimo acquisite, realizzate o, semplicemente, ereditate dal precedente gestore, dovranno essere messe nelle disponibilità del gestore entrante, previa liquidazione di un indennizzo disciplinato dal medesimo provvedimento al suo articolo 19. Per la verità, nulla di nuovo considerando che il concetto di bene segregato, di bene destinato al servizio, di cespite funzionale all’erogazione di un servizio essenziale già era disciplinato dal Testo Unico Enti Locali (TUEL) al suo articolo 113, ora abrogato dal D.Lgs. 201/2022; ma non solo. Le varie normative di settore si muovono nella stessa direzione: il Testo Unico Ambientale declina i medesimi assunti con riferimento al servizio idrico integrato e, per analogia, pur con qualche eccezione, anche al ciclo integrato del rifiuto; parimenti dicasi del datato decreto Letta (distribuzione gas naturale) il quale disciplina la fattispecie con le medesime modalità tecnico-operative così come dell’ancor più datato D.Lgs. 422/1997 (Trasporto Pubblico Locale), le cui prerogative fondanti sono declinate dalla competente Autorità per la Regolazione dei Trasporti con propria specifica deliberazione.

Il concetto, per quanto di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, è comunque banale: il bene funzionale all’erogazione di un servizio essenziale, come sopra caratterizzato, non appartiene al soggetto gestore, fermi restando i vigenti regimi di proprietà (cfr. art. 21 D.Lgs. 201/2022), ma è destinato all’oggetto produttivo; trattasi di bene normativamente segregato. Come così saggiamente afferma il Prof. Federico Casa, il concetto codicistico di proprietà tende, nel contesto, ad affievolirsi per lasciare spazio ad una nuova concezione, forse poco ortodossa ma assolutamente funzionale; nasce un, forse, improprio diritto a disporre di un determinato patrimonio strumentale qualora il medesimo sia destinato all’erogazione di un servizio pubblico.

Peraltro, già in passato si era correttamente consolidata la tesi che, secondo profili di par condicio dei competitors, la proprietà di tali dotazioni patrimoniali non poteva, logicamente, rappresentare un elemento discriminante per l’individuazione del miglior contraente cui affidare la gestione di un servizio pubblico; è opinione comune, infatti, che il proprietario delle infrastrutture funzionali all’erogazione di un servizio pubblico non sia necessariamente il soggetto che, secondo profili non solo riferibili alla qualità del servizio, ma anche concernenti l’economicità della gestione incardinata nei principi di efficienza ed efficacia, rappresenti il miglior gestore rinvenibile dal confronto con il mercato. Da qui le scelte normative del passato, le quali avevano anche definitivamente consacrato il principio della separazione funzionale tra la proprietà delle infrastrutture, la gestione delle stesse e l’erogazione del servizio.

Detto ciò, vorremmo evidenziare che le infrastrutture necessarie all’erogazione di un servizio pubblico, per una buona parte, sono di proprietà degli enti pubblici che in passato, o motu proprio, oppure associandosi in consorzi poi trasformati in società patrimoniali, hanno acquisito o realizzato; donde il principio che, essendo essenziali per una corretta gestione del servizio pubblico, tali dotazioni patrimoniali dovessero rimanere nell’alveo della proprietà pubblica, diretta o indiretta, e ciò in linea con le prescrizioni del TUEL.

Ciò che più interessa, in questa sede, riguarda però le dotazioni patrimoniali acquisite o realizzate direttamente dalle società che erogano il servizio.

L’universo dei servizi pubblici – soprattutto a valenza locale – necessita di periodici investimenti finalizzati all’implementazione del profilo qualitativo dei medesimi; pensiamo non solo a questioni di pubblica sicurezza – le reti di gas metano, le reti idriche, gli autobus – ma anche ad un necessario riammodernamento dell’intero comparto. Pertanto, i soggetti affidanti il servizio, riuniti negli organismi collegiali a capo di specifici bacini dimensionali ottimali per la gestione del servizio stesso, in ragione delle evidenti economie di scala e delle sinergie produttive sottostanti, nel momento in cui individuassero il miglior gestore, a seguito, come detto, di procedura competitiva oppure tramite affidamento diretto, sottoscriverebbero un contratto (contratto di servizio ex art. 24 D.Lgs. 201/2022), il quale dovrebbe prevedere la realizzazione di una serie di investimenti, secondo precise dinamiche temporali, nell’ambito del periodo concessorio (cfr. artt. 26 ss. D.Lgs. 201/2022). Quindi il gestore è tenuto, contrattualmente, a realizzare taluni significativi interventi; tale modus operandi è premiante anche ai fini tariffari. Infatti, le tariffe, intese, in senso generico, quali corrispettivi legati all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, non corrispondono agli esiti del confronto con le logiche del mercato libero ed indipendente; l’algoritmo sottostante la determinazione delle medesime è definito da un’autorità nazionale – per la distribuzione dell’energia elettrica e del gas metano, per il servizio idrico integrato, per il ciclo integrato del rifiuto, oggi identificabile in ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) la quale, sulla base di specifici applicativi modulati rispetto alle diverse realtà locali e territoriali, determina la copertura dei costi di gestione e una marginalità reddituale, tale da poter generare flussi finanziari sufficienti alla realizzazione dei più opportuni investimenti (lucro funzionale). Detto meccanismo ha come denominatore comune un principio di premialità per i gestori che, realizzando gli interventi contrattualmente previsti, contribuiranno al miglioramento dell’intero assetto produttivo, ma anche una concreta penalizzazione per chi invece non sostiene il sistema inteso nel suo complesso. L’effetto di tali meccanismi viene colto dalle tariffe, al punto da indurre i gestori, per sostenere i propri ricavi, ad investire significativamente sulle infrastrutture dedicate all’erogazione dei servizi.

Ciò chiarito, ipotizziamo che ad entrare in liquidazione giudiziale sia una società pubblica, la quale abbia realizzato gli investimenti appena descritti.

Il curatore, nell’ambito degli adempimenti iniziali, riscontrerà dai bilanci della società che la stessa dispone di un significativo attivo patrimoniale; egli inizierà a riflettere su come procedere alla liquidazione del medesimo, previa redazione dell’inventario e con le conseguenti determinazioni da formalizzare con il programma di liquidazione; a questo punto potrebbero rappresentarsi le prime criticità, soprattutto con riferimento alla legittimità dell’alienazione di tali beni. Riteniamo infatti che il curatore, per le ragioni già indicate, non potrà alienare, ordinariamente, i medesimi; egli dovrà esaminare il contratto di servizio in essere tra la società pubblica e il soggetto affidante, comparandolo con le risultanze analitiche dello stato patrimoniale e del libro inventario, ed individuare quali siano le dotazioni patrimoniali, acquisite o realizzate dalla medesima le quali, per analogia, sono destinate – e quindi segregate – alla gestione del servizio.

Il curatore, sulla base di quanto sopra riportato, dovrà amministrare, gestire e, eventualmente, trasferire a titolo oneroso, due distinti insiemi di beni che vogliamo scindere, a titolo di mero esercizio intellettuale, tra beni segregati e, quindi, strategici e beni non strategici; inutile evidenziare che nel primo profilo potranno trovare collocazione non solo gli interventi strumentali realizzati stand-alone ma anche gli investimenti effettuati come implementazione degli assets già esistenti di proprietà terza.

Residua ora da trattare il tema del corrispettivo, a carico del gestore entrante e a beneficio del gestore uscente, riferibile a dette dotazioni patrimoniali strategiche; ovviamente le dinamiche descritte riguardano anche il caso di cessazione anticipata dell’affidamento.

Nel contesto della specifica normativa di settore così come anche nel già citato articolo 19 del D.Lgs. 201/2022, viene rappresentato che detto ristoro debba constare in un indennizzo pari al valore contabile degli investimenti non ancora ammortizzati, rivalutato attraverso pertinenti deflatori fissati dall’Istat e al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili agli investimenti stessi.

Riassumendo, il gestore uscente dovrà trasferire, ope legis, al servizio – e quindi al gestore entrante – le dotazioni patrimoniali funzionali all’erogazione del servizio medesimo; il corrispettivo risulta stabilito dalle normative di settore ed assume la denominazione di Regulatory Asset Base (R.A.B.) o Capitale Investito Regolatorio o Capitale Investito netto Riconosciuto.

Interessa in questa sede affrontare il problema della redazione dell’inventario disciplinato dall’articolo 195 del CCII, nonché la valutazione di dette dotazioni patrimoniali essenziali nel contesto della perizia di stima redatta, nell’ordinarietà, da soggetto distinto dal curatore; siamo dell’idea che dette dotazioni non dovranno essere rappresentate come cespiti, ma quali crediti.

Il perito incaricato dal curatore dovrà valutare i medesimi secondo le specifiche indicazioni delle normative di settore definendo, come detto, il valore assunto dalla R.A.B., controllare in modo analitico se la società insolvente avesse rispettato le ciclicità dei processi di ammortamento e se avesse correttamente – anche civilisticamente – contabilizzato i contributi pubblici ricevuti, identificandoli in modo esaustivo e ricomprendendovi tutte le risorse finanziarie esterne non generate dalla società, così da poter identificare il corretto corrispettivo al quale la società insolvente avrà pieno diritto.

E ancora; tali crediti rappresentano poste attive, esigibili, ma, fino a quando non verrà individuato il gestore entrante, non si potrà avere contezza del soggetto debitore.

Non deve stupire detta trasformazione da attivo immobilizzato a credito (certo, liquido e, estemporaneamente, esigibile); si rammenta, infatti, che, con riferimento ai soggetti concessionari, i postulati degli I.F.R.S. (International Financial Reporting Standards) consentono, nel contesto del bilancio d’esercizio, di classificare detti assets come crediti, valutandoli, tempo per tempo, secondo i principi del fair value.

In sintesi, quindi, il curatore non potrà alienare le dotazioni patrimoniali segregate ma incasserà il credito corrispondente alla quantificazione della R.A.B. fermo restando, come detto, che eventuali altre tipologie di cespiti – non strategiche – ma ricomprese nell’attivo patrimoniale, potranno essere trasferite, previo confronto con il mercato, secondo gli schemi ordinari adottati nelle procedure concorsuali ed attentamente disciplinati dal CCII.

Riteniamo che tale fattispecie, affascinante e moderna, tanto innovativa quanto non compresa, dai più, nella sua ratio sottostante, riferibile per l’appunto alla segregazione delle dotazioni patrimoniali strumentali all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, genererà così tanta confusione che i giuristi potranno sbizzarrirsi nel tentare di chiudere un cerchio che, però, cerchio non è; sarà peraltro stimolante catalogare le reazioni scomposte dei giudici delegati a fronte dell’evidenza che la società in liquidazione giudiziale dispone di un corposo attivo concorsuale che non potrà essere liberamente alienato; e che se venisse alienato il cessionario dovrà essere un soggetto individuato da un autorità esterna al tribunale ed indipendente dal medesimo; che la perizia di stima dovrà poggiare su un anomalo, ma scientifico, algoritmo valutativo predeterminato individuando così un giusto prezzo il quale, come noto, non rappresenta, necessariamente, il miglior corrispettivo; e, soprattutto, che il programma di liquidazione accoglierà specifici crediti futuri, pur carenti dell’identificazione del debitore, in luogo del corrispettivo correlato all’alienazione dei cespiti produttivi presenti nei bilanci della società insolvente.

 

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